A   PADRE  GENNARO

AI  CARI  AMICI  DEL  FILO

ORFANI   DEL  TEMPIO

Lc 22,14

        “Ho ardentemente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi”

L’epilogo dell’avventura umana di Gesù che terminerà con la sua morte in croce inizia con un evento di festa.

 La festa degli azzimi, la più solenne della liturgia dell’ebreo che richiamava a Gerusalemme migliaia di pellegrini sparsi per il mondo nel  ricordo della riconquistata libertà,  la stessa che riempie le loro speranze e sostiene le aspettative sociali, è superata nella visione di Gesù, almeno nel suo significato antropologico e storico di etnia, per diventare la celebrazione della convivialità interumana.

 Immaginiamo la scena : nel giorno della solennità nazionale il Rabbi, l’ebreo eruditosi nelle sinagoghe e profondo conoscitore della legge di Mosè non porta con sé nessun rotolo della legge da cui attingere un passo della scrittura che riproponga la preferenza di Dio per quel popolo; nessun inno, nessun salmo della tradizione per ringraziare Dio e rinnovargli nuove preghiere. Ogni ritualismo  della religione giudaica, che pure vantava una ricchezza di forme non meno di tante altre religioni, è scomparso. In quel cenacolo, ritagliato in un clima di circospetta clandestinità, non aleggia nessun odore di incenso , ma l’invitante profumo di cibo che sale dal piano inferiore dove donne premurose e il padrone di casa attendono ai preparativi della cena.

 Anche qui alla vigilia del suo martirio il Personaggio più straordinario della storia  dissacra un evento religioso.

Come le  false credenze frutto di superstizione che creano emarginazione e sofferenze vengono cancellate e tutte ricondotte al dominio della centralità dell’uomo, così anche una ricorrenza religiosa è liberata da ogni circospezione reverenziale e da fughe mistiche per diventare un’occasione di incontro intimo e festoso tra amici e persone care.

E in piena continuità con l’impostazione descrittiva di Luca l’affermazione di una novità importante avviene nel contesto di un banchetto : Lc5,27; 7,36; 11,37; 14,1.

 Perché proprio un banchetto ? E non un luogo della sacralità , della religiosità più consono alla proclamazione di una verità teologica? Ma perché innanzitutto per Gesù di Nazareth la religione non esiste. Superfluo e inutile appare tutto il suo naturale supporto teologico ; il rapporto Uomo -Dio avviene attraverso una relazione immediata e diretta, sganciata da qualsiasi mediazione di figura ministeriale senza  regole, leggi o dogmi. Il banchetto inoltre momento di intima condivisione è anticipazione simbolica di quel Regno (Isaia), per il quale Gesù si è battuto, dove l’universale simbiosi umana cancellerà ogni differenza e disuguaglianza.

 E’ il suo un desiderio che viene dal profondo, potremmo dire che viene da lontano, prima ancora del delinearsi della sua inesorabile condanna a morte, ma che tuttavia la travalica quasi a passare questa in secondo piano. In Gesù non prevale l’angoscia di una fine imminente, ma ogni sua azione è dettata dal desiderio di vivere fino all’ultimo un’esperienza comunitaria in un clima di festa .

Qui è la vita che trionfa in tutti i suoi aspetti anche in quelli conviviali e non si lascia sopraffare dalla morte e questa  stessa carica vitale la si vuole trasmettere agli altri , affinché questi si nutrano di questa stessa forza che li proietti in una dimensione di immortalità .

 “Lo zelo per la tua  casa mi divora”. Ecco il motivo di così tanta vitalità di Gesù. E’ l’attaccamento incrollabile per il suo iniziale progetto di amore,  il desiderio incontenibile di condivisione con la comunità a cui tiene più della sua stesa vita. E’ il Dio che lascia la dimora dei cieli per porla definitivamente in mezzo alla gente Mt 18,20. La casa di Dio  come il luogo delle relazioni umane, delle amicizie , della famiglia allargata dove tutti sono al servizio dell’altro e dove la madre dell’amico è anche la mia Rm 16,13. E tanto meno  il Tempio, una struttura di pietra  per quanto maestosa ,ma fredda e  chiusa al brulichio della vita sociale. “Distruggete questo tempio e Io in tre giorni ve lo riedificherò”, cos’è se non la proclamazione inequivocabile e sintetica di un immanentismo divino collocato nel mezzo della condizione di pienezza umana del singolo e della comunità?

 E’ una casa itinerante e invisibile, tuttavia pulsante di emozioni fatta di uomini veri immersi nella loro umanità , ma soprattutto vivi, capaci ancora di amare e credere  negli altri.

 Una considerazione allora inevitabile per il giorno in cui la liturgia cristiana celebra la festa dell’Eucarestia.

Come sempre secondo un consacrato cerimoniale in quel giorno dalle nostre luccicanti chiese saliranno al canto di inni , melodiate da note  nuvole di incenso verso il cielo, per raggiungere Dio.

Ma quale Dio? Se il Dio in cui professiamo di credere ha posto la sua dimora tra gli uomini  e proprio in quel giorno ha manifestato il suo ardente desiderio di stare con noi, nel mezzo di una comunità sia pure imperfetta e incoerente ? Ma come quella prima comunità dalle ceneri del suo fallimento visionario in un Messia potente dovrà riconoscere quale unica alternativa intimamente vincente quella del proprio Maestro, così le società di sempre nell’abbandono definitivo di ogni sorta di velleità personale politica e sociale troveranno la propria pienezza di vita Lc 24,30; in questa dimensione di condivisione  saranno riconosciuti autentici cristiani Lc 24,31; saranno sostenuti da questa linfa vitale capace di superare le angosce della morte e dell’abbandono Lc 24,32.

Avremo ancora in quel giorno la forza e la lucidità di seguire l’invito dell’angelo a distogliere, come i primi discepoli, i nostri nasi all’insù intenti a seguire a bocca aperta come inebetiti le volute di incenso che si levano verso il cielo ? Dirigeremo le nostre tensioni verso quella categoria umana di umiliati e di emarginati, di incompresi e di sconfitti, di affamati e di sofferenti tra i quali più che altrove Dio ha posto la sua dimora e invitarli a un banchetto fra pari? Se si , avremo costruito la casa di Dio , una cellula umana del nuovo Regno.

Allora sì che riavremo tra di noi L’Ospite illustre, il Dio vivente,e non ci sarà più bisogno di parrocchie, chiese , cattedrali , santuari e luoghi del sacro per mettere in pace l’angoscia delle nostre coscienze che sale incessante dall’insoluto dei drammi antichi e attuali della storia; dei crocifissi umani etnici e di interi continenti ; dei vari 11 Settembre:  di New York , di Madrid , di Blopal ,dei tanti tantissimi miniscoli villaggi sparsi in Africa Asia America Latina come El Mazote nella terra del martire Romero , dove più di mille innocenti furono massacrati con atroce sadismo da un gruppo paramilitare filogovernativo dimenticati e mai assorti all’onore delle cronache.

Se ciò poi appare irriguardoso e blasfemo agli occhi dei pii, dei devoti delle religioni, dei fanatici delle lettere e delle tavole scritte su pietra, allora non resta che rispondere  loro che la casa di Dio nessuna l’ha mai vista. Sappiamo solo con certezza di fede e sulla base dell’unica prefigurazione tramandataci da Cristo che essa appartiene a un padre buono e misericordioso che non nega mai l’accesso a chi vuole entrare; è felice e fa festa per coloro  che vi fanno ritorno ed in essa c’è sempre un posto a tavola per l’ospite dell’ultima ora.

 

 
  
   LA STORIA

La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,

siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.

La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.

 La storia siamo noi,

siamo noi queste onde nel mare,

questo rumore che rompe il silenzio,

questo silenzio così duro da masticare.

E poi ti dicono

"Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera".

Ma è solo un modo per convincerti

a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.

Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,

la storia entra dentro le stanze, le brucia,

la storia dà torto e dà ragione.

La storia siamo noi,

siamo noi che scriviamo le lettere,

siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere.

 E poi la gente,

(perché è la gente che fa la storia)

quando si tratta di scegliere e di andare,

te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,

che sanno benissimo cosa fare.

Quelli che hanno letto milioni di libri

e quelli che non sanno nemmeno parlare,

ed è per questo che la storia dà i brividi,

perché nessuno la può fermare…

  La storia siamo noi,

siamo noi padri e figli,

siamo noi, bella ciao, che partiamo.

La storia non ha nascondigli,

la storia non passa la mano.

La storia siamo noi,

 siamo noi questo piatto di grano.

La storia siamo noi !

 

(La Storia -Francesco De Gregori -1985)

 

      
       
Il Crocifisso: simbolo di cultura o simbolo di fede?

26 ottobre 2003. Divampa all'improvviso la polemica intorno alla sentenza del giudice dell'Aquila, che ordina la rimozione del crocifisso da un'aula della scuola elementare del piccolo e sconosciuto comune di Ofena, arroccato tra le montagne dell'Abruzzo.
La sentenza a seguito della richiesta al giudice dell'Aquila da parte del presidente dell'associazione islamica, Adel Smith, cittadino italiano, in quanto suo figlio, di fede islamica, frequenta quella scuola.
Non ancora conosco la sentenza completa delle motivazioni, ma sono certo che il giudice non abbia preso una decisione così grave a cuor leggero, senza pensare alle polemiche che ne sarebbero seguite. Non emettere quella sentenza avrebbe leso il diritto alla giustizia del cittadino italiano di fede islamica, ignorando quel rassicurante principio che tutti con piacere leggiamo sul banco del giudice: "la legge è uguale per tutti".
La polemica ha coinvolto tutti i partiti della casa della "libertà" e trasversalmente anche la componente cattolica del centrosinistra con le più svariate motivazioni, che mai tengono conto della laicità della nostra Repubblica e della costituzione. Le loro considerazioni sono ferme inesorabilmente all'anno 1924 quando il governo fascista, da poco insediatosi nel modo in cui tutti sappiamo, sottoscrisse i primi compromessi con la Santa Sede, terminati con la firma dei Patti Lateranensi l'11 febbraio 1929, quando la religione cattolica, dopo gli anni difficili seguiti alla presa di Porta Pia nel 1870, divenne definitivamente religione dello Stato Italiano e la politica dell'esclusione si concluse tre lustri più tardi con le leggi razziali, che colpirono in modo particolare gli ebrei, come tutti abbiamo il dovere di ricordare, accompagnate dal silenzio sofferto, ma inspiegabile, del Papa e dei suoi Prelati più alti.
Ma ciò che meraviglia e preoccupa è anche oggi l'atteggiamento della Santa Sede che reagisce allo stesso modo dei politici anche se solo in modo più composto.
Per tutti il Crocifisso rappresenta l'identità culturale degli italiani, con qualche precisazione un poco più pertinente del Papa, intervenuto qualche giorno dopo l'uscita della notizia.
Oggi tutti si sono ricordati del Crocifisso, simbolo di identità culturale, e lo hanno esibito come simbolo di esclusione esattamente come contro gli islamici nelle crociate volute dai papi di allora, nella battaglia di Lepanto, nelle guerre contro gli eretici, contro i cristiani riformati, contro Galileo Galilei e contro Giordano Bruno, contro le streghe e contro gli ebrei cacciati dalla cattolicissima Spagna e segregati nei ghetti dell'Europa cristiana, contro tutti quelli hanno avuto ed ancora hanno il coraggio di dire no allo strapotere della chiesa forte spalleggiata dal patto scellerato con i potenti di tutti i tempi di cui ha sempre comandato il braccio secolare in cambio della sicurezza del potere.
Sbagliano i nostri politici che dimenticano come sempre la costituzione del nostro paese che all'art. 7 stabilisce che  "lo stato e la chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti  e sovrani", ed al successivo art. 8 dichiara che "tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge", garantendo a tutti i cittadini di professare liberamente la propria religione.
E' ambiguo il Presidente della Repubblica quando rilascia risposte che clamorosamente si distaccano dalla costituzione, prestando il fianco a facili interpretazioni di parte, citando il libro di Benedetto Croce "perché non possiamo non chiamarci cristiani".
E' opportuno diffidare di quanti, dimentichi del mandato loro affidato dal Cristo, pretendono di rivendicare per tutti gli Italiani (compreso gli islamici e tanti immigrati) l'identità culturale cristiana, quando in modo chiaro e deciso dovrebbero gridare a tutti che Cristo Crocifisso è la massima espressione dell'amore gratuito e responsabile e dell'accoglienza rivolta a tutti i membri dell'immensa famiglia umana.
Quei cristiani, che ostentano il la loro appartenenza al Crocifisso,  per andare incontro agli islamici dovrebbero spogliarsi definitivamente del loro abito culturale (l'identità culturale cristiana) e procedere ad un totale disarmo culturale per evitare che l'approccio con gli altri si risolva sempre in un fallimento.
Non si può proporre il dialogo interreligioso portandosi dietro 2000 anni di storia (e che storia!), in gran parte avvelenata da impietose guerre di religione e da colossali interessi economici e di potere.
I capi, che dal Vaticano, ultima roccaforte di un glorioso regno assolutistico dove stanno rintanati, continuano a pronunciare sentenze su tutto ciò che avviene fuori dal sacro recinto, dovrebbero evitare che il simbolo dell'amore fino alla morte dell'Uomo che ama e perdona il proprio nemico, diventi per oscuri interessi di casta e di potere il simbolo della cultura di una nazione e dell'intransigenza religiosa.
Nell'incontro che l'associazione "il filo" ha tenuto nei giorni 3, 4 e 5 ottobre, il relatore Ortensio da Spinetoli, padre dei minori cappuccini, ha sottolineato con forza che si segue Gesù il Crocifisso, quando si è disposti "a perdonare anche il proprio nemico". Tale disponibilità può verificarsi solo quando si abbandona la propria cultura, come ha fatto lo stesso Gesù  rifiutando gli oltre 600 comandamenti della religione ebraica.
Lo hanno fatto i primi cristiani che per rispettare il comandamento dell'amore sono andati senza paura incontro ai loro carnefici. Lo hanno fatto i cristiani descritti nella lettera "a Diogneto", come ci ha ricordato Paolo Zannini negli incontri del 24, 25 e 26 ottobre (organizzati da "il filo"): 
"Cristiani non si distinguono né per patria, né per lingua, né per comportamento dagli altri uomini. Non abitano infatti in cittadelle private da nessuna parte, non utilizzano alcuna lingua alternativa, non sfoggiano alcuno speciale genere di vita. Non si riesce a trovare fra di loro nessun insegnamento dovuto alla riflessione o alla genialità di uomini particolarmente dotati né alcuna verità [filosofica] umana, come succede con altri. Abitando [indifferentemente] in città greche oppure barbare, seguendo nel cibo, nel vestito e in tutto il resto i costumi del luogo in cui è capitato loro di trovarsi, manifestano l'assetto straordinario e, per confessione di tutti, paradossale della loro vita da cittadini [dell'impero romano]. Abitano nella propria patria da stranieri; condividono tutto da concittadini, ma restano fuori da tutto quasi fossero ospiti; ogni terra straniera è loro patria e ogni patria  (è a loro) terra straniera. Contraggono nozze come tutti gli altri, mettono al mondo figli, ma non espongono i nati. Hanno in comune la tavola [imbandita] non il letto. Pur essendo di carne, non vivono secondo [le leggi de])la carne. Si occupano [delle cose] della terra, ma hanno la cittadinanza su nel cielo. Obbediscono alle leggi [dello stato] ma superano con la propria vita quelle leggi. Amano tutti nonostante ricevano persecuzioni da tutti. Ignorati eppure condannati; messi a morte e trattenuti in vita. Impoveriscono, ma arricchiscono molti; bisognosi di tutto; sovrabbondano in tutto. Disonorati e, nel disprezzo, coronati di gloria; bestemmiati e dichiarati giusti. Ingiuriati, benedicono; maltrattati rispettano. Pur facendo del bene vengono puniti come delinquenti, ma godono della punizione quasi avessero in regalo la vita. Combattuti dagli ebrei come gente estranea, vengono cacciati anche dai greci; eppure chi li odia non sa indicare la causa di tanta inimicizia".

Ora la ministra della pubblica istruzione ordinerà - forse sarà il regalo di Natale - che in tutte le aule ci sia un crocifisso. Magari uno di quelli in plastica fosforescenti altamente inquinanti, costruiti in uno di quei paesi in via di sviluppo, dove la manodopera, non garantita da alcuna legge, ha un costo marginale, o anche da quegli odiati operai comunisti cinesi con i quali, però, si possono fare buoni affari, e commercializzati da qualche cristianissima azienda del Nord-Est. Poi si potranno imporre i crocifissi anche in tutti gli altri edifici pubblici, come ha ordinato qualche sindaco zelante che ha sulle scatole gli immigrati sporchi e puzzolenti, e, poi, persino sui tram e gli autobus, nei supermercati, i negozi, le bancarelle, sulla giacca o sulla camicia. Tutti dovranno esibire il simbolo dell'identità culturale degli italiani.
Quelli poi che non vorrebbero dispiacere nessuno e mettersi la coscienza a posto, i liberal, affermano per una sorta di par condicio che andrebbero esposti anche i simboli delle altre fedi e delle altre confessioni. Una gran bell'idea, degna di un ministro dell'economia molto creativo. Giusto per far ripartire i consumi.
Ci sono pure quelli che si lamentano, sono i patrioti nazionalisti, perché quando gli italiani si recano nei paesi di fede islamica non possono esporre il loro simbolo che rappresenta la loro identità culturale. Quindi, non essendoci reciprocità, ritengano con buona ragione che si debba impedire assolutamente che gli islamici vengano a comandare in casa nostra.
Non mi risulta che quando gli italiani sono andati da cristiani per far del bene agli islamici siano stati impediti di esporre il crocifisso. Il problema sorge, e questo non si può tacere, quando quel simbolo è stato utilizzato come strumento per imporre la propria cultura e per accompagnare i propri interessi. Dalle crociate fino ad oggi, passando per tutte le guerre coloniali, i cristiani col crocifisso sono andati in quei paesi solo per saccheggiare e per fare affari, mai per porsi a fianco di chi è in difficoltà.
Tanti missionari, medici, tecnici, operai, gente comune oggi lavorano in pieno accordo accanto agli islamici, ma solo per la costruzione del Regno.
Ci ricordava don Enrico Chiavacci, che è stato da noi 5 novembre per illustrarci i temi fondamentali della Gaudium et Spes,  che il piano della salvezza non si realizza nella Chiesa, ma presso tutti gli uomini e le donne appartenenti alla "famiglia umana", senza alcuna distinzione.
E' ora che i cristiani si affrettassero a togliere il crocifisso da tutti i luoghi pubblici in cui è esposto per favorire l'accoglienza e l'integrazione verso tutti quelli che vengono in Italia per sfuggire alla fame ed alla miseria e che disperatamente tentano di far stare meglio le loro famiglie, affrontando disagi incredibili e troppo spesso anche la morte.
Quando nel 1984 fu stipulato il nuovo concordato tra il presidente del consiglio Craxi ed il cardinale Casaroli, la religione cattolica cessò definitivamente di essere religione di stato, divenendo una delle tante religioni che i cittadini italiani possono praticare con pari dignità. In conseguenza di ciò, se prima l'insegnamento della religione cattolica era obbligatorio, dopo il concordato divenne facoltativo. Da allora gli studenti o i loro genitori sono invitati ogni anno a scegliere in piena libertà tra l'insegnamento della religione cattolica o altre attività facoltative (dolosamente mai attivate dalle scuole).
Ricordo che nei mesi e negli anni successivi scomparvero da quasi tutte le aule delle scuole italiane i crocefissi (chissà che fine hanno fatto) ed oggi, a parte poche scuole (come quella di Ofena), è difficile vederli esposti. I conseguenza di ciò nella scuola dove insegno il Crocifisso è presente solo nella presidenza affianco al tricolore italiano ed alla foto del presidente della repubblica. Anche il precetto pasquale nelle scuole è diventato una pratica religiosa facoltativa ed in moltissime scuole ormai non viene più proposta.